sabato 7 settembre 2013

Rilettura di una Relazione di Mons. Parolin (nuovo Segretario di Stato) sull'importanza dell'Accordo di Base tra la Santa Sede e la Bosnia ed Erzegovina

Il 31 Agosto 2013 Papa Francesco ha nominato l'Arcivescovo Pietro Parolin Segretario di Stato del Vaticano, dopo aver accettato le dimissioni del Cardinale Tarcisio Bertone. Subito dopo l'annuncio ufficiale, dato dalla Radio Vaticana e dall'Ufficio Stampa della Santa Sede, nel “villaggio globale” della comunicazione è iniziato il tam tam dei media mondiali (giornali, emittenti radiotelevisive, portali e blog della rete, religiosi, laici e vaticanisti) per comunicare e rilanciare la mole ingente e svariata delle impressioni, delle valutazioni e dei significati legati alla nomina e alla personalità (sacerdotale e diplomatica) di Mons. Parolin che finora ha operato come Nunzio Apostolico in Venezuela.
A partire dalle prime informazioni contenute nella breve scheda biografica e nel curriculum vitae, ufficialmente diramate dalle fonti ecclesiastiche della Santa Sede, e dalle prime dichiarazioni personali comunicate dalla sede della Nunziatura di Caracas, si sono fortemente sviluppati un dibattito ed una ricerca tesi ad evidenziare il percorso ministeriale finora realizzato da Mons. Parolin insieme con la complessità delle problematiche che egli andrà ad affrontare nel suo nuovo ruolo.

Appare abbastanza unanime l'impressione positiva suscitata dai “talenti” di Mons. Parolin, nominato nel 2002 Sottosegretario dei Rapporti con gli Stati da Giovanni Paolo II e nel 2009 Nunzio Apostolico da Benedetto XVI, il quale a 58 anni diviene il Segretario di Stato più giovane dai tempi di Papa Pacelli. In primis tra questi talenti viene annotata la spiritualità, vissuta nello stile pastorale propugnato da papa Francesco, che si accompagna alla lunga esperienza diplomatica e alla capacità di dialogo interculturale; e poi l'impegno costante nel lavoro, nella comunicazione e nell'approfondimento sapienziale delle tematiche che riguardano il suo ministero, commisurato con positivi risultati, nell'ottica ecclesiale, ottenuti nel vasto campo della geopolitica e delle relazioni internazionali. I media, e i vaticanisti più accreditati, pongono in risalto le delegazioni e gli interventi svolti, e comunicati in qualificati simposi e conferenze, da mons. Parolin con l'obiettivo di dotare la Chiesa di Roma di opportunità, di procedure e di attività di dialogo con le aree e le culture critiche del pianeta, dall'Africa all'Estremo Oriente e alle Americhe. Gli interventi evidenziati riguardano, ad esempio, i rapporti tra Stato e Chiesa in Cina, i dossier sui rapporti tra Santa Sede e Vietnam, le relazioni giuridiche con Israele.
Per definire ed approfondire meglio ancora l'operatività e lo studio di Mons. Parolin alcune importanti testate e portali di consultazione in rete hanno cominciato anche a pubblicare e a linkare taluni tra i suoi interventi più significativi (Pasqua 2007 in Vietnam, Conferenza Generale AIEA 2006). E così, cercando di leggere in anticipo le caratteristiche che avrà l'opera futura del nuovo Segretario di Stato, gli osservatori hanno prefigurato un modus operandi (cfr. vaticanisider.la stampa.it) che, nel solco della migliore tradizione diplomatica della Chiesa, consentirà alla Santa Sede di “offrire ancora il suo contributo di saggezza e lungimiranza per favorire i cammini della pace”.
La carrellata mediatica degli approfondimenti e delle riflessioni, avviata dalla notizia della nomina e delle scelte operate da Papa Francesco per la Segreteria di Stato, per molti versi appare lunga ed esaustiva nelle inquadrature retrospettive dell'opera internazionale svolta da Mons. Parolin; e tende ad individuare le prospettive e le caratteristiche degli scenari più critici ed impegnativi, in particolare quelli europei e mediorientali riguardanti la coesistenza di confessioni cristiane diverse e i rapporti interreligiosi con l'Islam e l'Ebraismo. Sono scenari che, insieme con quelli delle emergenze delle cosiddette 'periferie povere' del mondo, sono già aperti e si aprono ancora di fronte alla diplomazia vaticana che va a confrontarsi nel dialogo con le diversità economiche, nazionali, religiose ed etniche.

In questo senso un contributo alla focalizzazione di un tratto importante del percorso svolto da Mons. Parolin - “sacerdote e fine diplomatico che si muove nello spirito della conversione pastorale indicato da Papa Francesco ai Nunzi Apostolici di tutto il mondo” (Mons. D'Errico) – può venire anche da questo blog “Chiesa e Diplomazia” che segue le attività del ministero pastorale del Nunzio Apostolico in Croazia.
L'opera ecclesiale e diplomatica di Mons. D'Errico, svolta a livello internazionale e con la titolarità delle Nunziature Apostoliche in Pakistan, in Bosnia-Erzegovina, in Montenegro, e attualmente in Croazia, appare in effetti come un rispecchiamento delle istanze di spiritualità, di dialogo e di pastoralità, legate dal Pontefice alla nomina del nuovo Segretario di Stato; e moltissime sono le espressioni e le simbiosi che si possono cogliere in questo senso. Ne proponiamo una in particolare, rilevabile nel luogo d'incontro sinergico, recente e significativo dal punto di vista spirituale-ecclesiale e dal punto di vista culturale-diplomatico, dell'opera di Mons. D'Errico con l'opera di Mons. Parolin: l'interscambio di un magistero della Diplomazia della Santa Sede e di una comune visione spirituale della Chiesa che si può leggere in una relazione di Parolin pubblicata nel libro “Diplomazia e Servizio Pastorale” stampato nel 2009 con la prefazione del cardinale Vinko Pulic, Arcivescovo di Sarajevo, per celebrare il decennale del Nunzio.

La relazione fu letta nel maggio 2009 alla Conferenza organizzata dall'Ateneo fondato dai Domenicani a Roma (Angelicum - Pontificia Università Teologica “S. Tommaso D'Aquino”) sul tema The Holy See & the States of Post-Communist Europe”. Mons. Parolin sviluppò l'argomento dell'Accordo di Base tra la Santa Sede e la Bosnia-Erzegovina, che era stato sottoscritto da Mons. D'Errico come rappresentante pontificio, ed intitolò il suo intervento: “The Basic Agreement Between the Holy See and Bosnia and Herzegovina, in Relation to the Orthodox and Muslim Communities”.

Con il Nunzio consenziente, proponiamo di seguito il testo della relazione alla lettura integrale in italiano. 


L’Accordo di Base tra la Santa Sede e la Bosnia ed Erzegovina
in rapporto alle Comunità Ortodossa e Musulmana
(Conferenza del Rev.mo Mons. Pietro Parolin,
allora Sotto-Segretario dei Rapporti della Santa Sede con gli Stati,
alla Pontificia Università San Tommaso d’Aquino)
Roma, 27 maggio 2009.

Ringrazio vivamente gli organizzatori per l’invito a partecipare a questo convegno su “The Holy See and the States of Post-Communist Europe.  Key Aspects of their Relations Twenty Years after the Fall of the Berlin Wall” e rivolgo un deferente e cordiale saluto a tutti i partecipanti.
Mi è stato chiesto di intervenire su “The Basic Agreement of the Holy See with Bosnia and Herzegovina, in relation to the Orthodox and Muslim Communities”.
Com’è noto, la Santa Sede stipula Accordi bilaterali con gli Stati per assicurare, a livello di diritto internazionale, un quadro giuridico adeguato per la presenza e le attività delle comunità cattoliche locali. Al riguardo, mi sembra utile aggiungere due osservazioni generali:
1) Ben lungi dall’assistere a quel “tramonto dei concordati” pronosticato da numerose teorie dopo il Concilio Vaticano II, siamo stati testimoni negli ultimi decenni di una “rifioritura dell’attività pattizia” della Santa Sede. Se nel quarantennio che va dal 1950 al 1989 sono stati stipulati 85 Accordi (nelle diverse forme di Concordati, Accordi-quadro, Protocolli, Note reversali, Modus Vivendi, Avenant, ecc.), con una media di 19 Accordi per ogni decade, nella sola ultima decade del secolo, dal ’90 al 2000, se ne registrano quasi una cinquantina e il ritmo è continuato anche nella decade in corso.
2) Inoltre, l’attività pattizia della Santa Sede ha mutato area geografica.  Nel quarantennio che va dal ’50 al 2000, essa ha interessato principalmente l’Europa occidentale (56) e l’America Latina (20), mentre in seguito si è spostata nell’Europa centro-orientale, cioè nei Paesi già facenti parte del blocco socialista.  Ed in effetti, il trapasso dal regime comunista a quello democratico ha richiesto una precisa rifondazione dell’assetto giuridico degli Stati: nuove Costituzioni, nuovi Codici civili, penali, commerciali e processuali, come pure una nuova impostazione dell’atteggiamento verso il fattore religioso e, in particolare, verso le istituzioni e le comunità religiose organizzate. Ciascun ordinamento, quindi, ha cercato di ridefinire i propri rapporti con le confessioni religiose.
In tale orizzonte si colloca “L’Accordo di Base tra la Santa Sede e la Bosnia ed Erzegovina” (firmato il 19 aprile 2006), con il relativo “Protocollo addizionale” (firmato il 29 settembre 2006), entrambi entrati in vigore il 25 ottobre 2007. Quest’Accordo, tenendo conto della composizione multietnica e multireligiosa della Bosnia ed Erzegovina, è importante anche per i rapporti della Chiesa Cattolica con la Comunità ortodossa e con la Comunità musulmana.
Questa relazione si articola in tre parti. Nella prima presento la situazione storica recente delle comunità religiose in Bosnia ed Erzegovina, nel contesto di quella realtà politica e sociale. Nella seconda parte cerco di ripercorrere le fasi più importanti del processo di preparazione, firma, ratifica e applicazione dell’Accordo di Base e del relativo Protocollo Addizionale. Nella terza mi soffermo sul significato dell’Accordo in senso ecumenico e interreligioso.

I
Dal comunismo – attraverso la guerra - verso la democrazia.

In tutti i Paesi dell’Europa a regime comunista, in conseguenza dell’ideologia marxista secondo cui la religione era vista come “affare privato” e – secondo la ben nota espressione – come“oppio del popolo”, era in vigore la prassi della separazione ostile o “separazione ateista” tra Stato e Comunità religiose. Essa ha comportato la più totale emarginazione del fenomeno religioso rispetto alla realtà sociale e quasi la sua riduzione alla clandestinità – dal momento che lo Stato comunista cercava di ridurre ai minimi termini la presenza delle Chiesa perfino nella vita privata dei cittadini – e si è tradotta nel più vistoso tentativo di scristianizzazione compiuto da uno Stato totalitario nell’epoca contemporanea. L’esperienza del separatismo ateista di derivazione sovietica fu esportato ed imposto anche nei Paesi dell’est europeo nel secondo dopoguerra (con la formazione del blocco politico- militare dei cosiddetti Stati socialisti), anche se non con gli stessi caratteri e lo stesso rigore assunti nell’URSS. I regimi ponevano, comunque, molti limiti all’esistenza e alle attività delle Comunità religiose, non raramente anche con persecuzioni e, di conseguenza, anche la libertà religiosa dei singoli cittadini era molto coartata, se non del tutto eliminata. Tale era la situazione anche in Bosnia ed Erzegovina, una delle Repubbliche della ex-Jugoslavia socialista. Soprattutto nei primi decenni dopo la seconda guerra mondiale, il regime era alquanto rigido: molti religiosi e fedeli di tutte le religioni furono perseguitati, incarcerati o uccisi; i beni furono nazionalizzati; le scuole e la stampa gestite dalle Comunità religiose furono proibite, ecc. In una fase successiva, durante l’ultimo decennio del regime comunista, la posizione delle Comunità religiose migliorò un poco, grazie alla “legge sulla posizione giuridica delle comunità religiose” del 1976; tuttavia lo Stato non abbandonò la propria posizione sostanzialmente ostile.
Dopo il periodo comunista, nel 1992, in Bosnia ed Erzegovina sopravvenne purtroppo la triste realtà della guerra fratricida, terminata soltanto alla fine del 1995 con l’Accordo di Pace di Dayton. In questo periodo di scontro, la religione non raramente fu manipolata, e qualche volta anche invocata come mezzo per identificare il nemico. Naturalmente, molte ragioni favorivano simili prese di posizione, e in particolare il fatto che, caduto il regime comunista, quella società si trovò improvvisamente a dover affrontare la guerra, ancor prima di aver potuto organizzarsi con leggi democratiche, e aver risolto almeno alcuni dei problemi più importanti.
Dopo l’Accordo di Dayton emerse una nuova realtà politica, intesa a incamminare la Bosnia ed Erzegovina sulla via della democrazia e del rispetto dei diritti umani. Il Paese voleva chiudere definitivamente con il passato comunista e favorire il ritorno ad una pacifica convivenza tra le componenti etnico-religiose. Evidentemente a livello legale questo era possibile soltanto attraverso un lungo processo legislativo, in grado di dotare il Paese di nuovi strumenti normativi. Perciò non è da meravigliarsi che fino a poco tempo fa fossero ancora in vigore, almeno formalmente, parecchie leggi del vecchio regime.
Questo mutamento di situazione politica, leggi e prassi quotidiana, da una parte, permette l’applicazione dei principi e delle regole di democrazia, e contribuisce alla costruzione dell’armonia sociale; dall’altra, giova molto al processo di integrazione europea della Bosnia ed Erzegovina. Questa è la grande aspirazione di oggi della Bosnia ed Erzegovina, che per la sua storia è sempre appartenuta all’Europa, come peraltro disse il Segretario di Stato, il Cardinale Tarcisio Bertone, in occasione dello scambio degli strumenti di ratifica dell’Accordo di Base tra la Santa Sede e la Bosnia ed Erzegovina.
In questo contesto, l’Accordo assume particolare rilevanza. Esso non solo è importante, ma ha anche un significato “storico” – com’è stato detto da più parti; non solo è un segno ulteriore della particolare sollecitudine della Santa Sede per la Comunità cattolica locale, tanto provata nella sua storia recente, ma evidenzia anche che le Autorità di Bosnia ed Erzegovina vogliono battere una strada “nuova”, secondo principi democratici riconosciuti a livello internazionale; in particolare è la conferma che esse intendono dare la giusta rilevanza al principio della libertà religiosa, per giungere anche per questa via alla tanto desiderata e necessaria armonia sociale nel Paese.

II
Preparazione, firma, ratifica e applicazione
dell’Accordo di Base e del Protocollo Addizionale.

Il riconoscimento dell’indipendenza politica della Bosnia ed Erzegovina da parte della Comunità internazionale avvenne nel 1992. Grazie alla sollecitudine di Giovanni Paolo II, la Santa Sede fu tra i primi a stabilire relazioni diplomatiche con la Bosnia ed Erzegovina, nominando all’inizio un Nunzio Apostolico non residente, per passare successivamente, nel periodo del dopoguerra, alla nomina di un Nunzio residente.
I lavori preparatori sull’Accordo
Poco dopo la prima visita di Giovanni Paolo II in Bosnia ed Erzegovina (del 1997, a Sarajevo), nacque l’idea di un Accordo con la Santa Sede, che potesse offrire un quadro giuridico di base per le attività della Chiesa Cattolica locale.
L’anno 2002 segna una tappa importante. Di comune accordo furono costituite due Commissioni, una ecclesiastica e una governativa, con l’incarico di preparare una bozza di Accordo. La Commissione ecclesiastica era guidata dall’allora Nunzio Apostolico in Bosnia ed Erzegovina, l’Arcivescovo Giuseppe Leanza (ora Nunzio Apostolico in Irlanda); la Commissione governativa era guidata dal Sig. Ivica Mišić, già Vice-Ministro degli Affari Esteri e allora Ambasciatore di Bosnia ed Erzegovina presso la Santa Sede.
Le due Commissioni conclusero i lavori il 18 dicembre 2002, con una proposta che fu presentata alle rispettive autorità competenti. Si sperava di poter firmare l’Accordo sei mesi dopo, in occasione della visita di Giovanni Paolo II a Banja Luka del 23 giugno 2003. Ciò non fu possibile per le perplessità avanzate da alcuni ambienti politici e religiosi. Le difficoltà non riguardavano tanto il contenuto del testo proposto, quanto piuttosto il dubbio che un Accordo con la Santa Sede potesse favorire o privilegiare la Chiesa Cattolica in uno Stato multireligioso e multietnico. Intanto, nel 2003 l’Arcivescovo Santos Abril y Castelló era succeduto all’Arcivescovo Leanza come Nunzio Apostolico in Bosnia ed Erzegovina.
La legge sulla libertà religiosa
Parallelamente all’iter dell’Accordo, presso i competenti Uffici dello Stato era in corso l’elaborazione di una “Legge sulla libertà religiosa e sullo stato giuridico delle Comunità religiose in Bosnia ed Erzegovina”. La circostanza, tenendo conto anche delle già ricordate perplessità, consigliò di rimandare i lavori sull’Accordo con la Santa Sede a un tempo successivo alla promulgazione di tale legge. Essa entrò in vigore a metà marzo del 2004.
La ripresa dei negoziati
Dal marzo 2004 a più riprese e in diversi modi si cercò di rispondere ai dubbi che erano stati sollevati in precedenza circa la opportunità di un Accordo con la Santa Sede. In particolare furono sottolineati seguenti punti:
a) L’Accordo doveva essere visto nell’interesse del Paese, poiché poteva offrire a livello internazionale un’immagine positiva e democratica della Bosnia ed Erzegovina, uscita da una dittatura comunista che ostacolava l’esercizio della libertà religiosa, e da una guerra nella quale anche la diversa appartenenza religiosa non raramente era stata invocata per confrontarsi e combattersi.
b) L’Accordo non si opponeva, ma poteva rappresentare uno sviluppo ed una ulteriore garanzia giuridica rispetto alla legge sulle Comunità religiose, mediante la quale la Bosnia ed Erzegovina si era impegnata a riconoscere e a rispettare la libertà religiosa di ogni singolo cittadino, ed il principio di uguaglianza davanti alla legge delle tre Confessioni religiose costitutive del Paese (Islam, Ortodossia e Cattolicesimo).
c) Neppure il principio di uguaglianza dei tre popoli costitutivi si opponeva all’Accordo, perché esso impone un differenziato trattamento giuridico nel caso di fattispecie giuridiche differenti. L’Autorità alla quale fa capo la Chiesa Cattolica è anche un soggetto di diritto internazionale, cioè la Santa Sede, per cui il rapporto bilaterale si può esprimere anche nella forma di un Accordo internazionale.
d) Tali presupposti, e la necessità di stabilire un quadro giuridico adeguato per il reale esercizio dei diritti dei cittadini nell’ambito religioso, hanno portato parecchi Paesi vicini, nei quali la questione religiosa ora si è normalizzata, a firmare simili Accordi con la Santa Sede.
Fu così costituito un Gruppo di Lavoro governativo, che nel mese di febbraio del 2006 presentò al Consiglio dei Ministri una proposta di Accordo con la Santa Sede, molto simile a quella del 2002.
Il nuovo Nunzio Apostolico, l’Arcivescovo Alessandro D’Errico (nominato alla fine del 2005), in diverse occasioni – sia nei contatti con le più alte autorità, sia in interventi pubblici – insistette su alcuni punti perché si superassero le perplessità che ancora restavano in alcuni ambienti: a) la Santa Sede non chiede privilegi, ma desidera soltanto –  con un trattato internazionale, com’è nella sua tradizione - regolare giuridicamente le attività della Chiesa cattolica; b) inoltre, essa si augura che simili Accordi possano essere firmati presto anche con altre Comunità religiose, nel rispetto dell’uguaglianza dei tre popoli costitutivi, ed anche per favorire la necessaria armonia sociale ed il dialogo ecumenico e interreligioso.
La firma dell’Accordo
Il Consiglio dei Ministri approvò la bozza di Accordo il 21 febbraio 2006; due giorni dopo la stessa bozza, con poche varianti, fu approvata anche nella Presidenza Collegiale.
Per la soluzione delle ultime difficoltà contribuirono molto due altri elementi. Anzitutto l’impegno profuso dal Sig. Ivo Miro Jović nel corso del suo mandato di Presidente di turno della Presidenza Collegiale (otto mesi, fino alla fine di febbraio 2006). Poi, la visita in Vaticano del nuovo Presidente di turno della Presidenza Collegiale, il Sig. Sulejman Tihić, alla fine di marzo 2006: nei suoi incontri con il Santo Padre Benedetto XVI e l’allora Segretario di Stato, Card. Angelo Sodano, si discusse anche dell’Accordo e furono apportati gli ultimi ritocchi.
Inizialmente si pensava ad un testo in quattro versioni autentiche (italiana, croata, bosniaca e serba). Nella fase finale delle trattative però, per evitare in futuro eventuali problemi d’interpretazione, fu accettata la proposta della Santa Sede che il testo autentico dell’Accordo fosse redatto solo in inglese, secondo la possibilità offerta dalla legge della Bosnia ed Erzegovina sulla procedura di stipulazione e di applicazione dei Trattati internazionali.
L’Accordo di Base tra la Santa Sede e la Bosnia ed Erzegovina fu firmato al Palazzo Presidenziale di Sarajevo il 19 aprile 2006, nel primo anniversario dell’elezione del Santo Padre Benedetto XVI al Supremo Pontificato. Erano presenti tutti i membri della Conferenza Episcopale e numerosi rappresentanti dello Stato. Per la Bosnia ed Erzegovina firmò il Sig. Ivo Miro Jović, Membro della Presidenza Collegiale; e per la Santa Sede l’Arcivescovo Alessandro D’Errico, Nunzio Apostolico in Bosnia ed Erzegovina.
La reazione dell’Ufficio dell’Alto rappresentante
Il giorno successivo alla cerimonia della firma dell’Accordo, l’Ufficio dell’Alto rappresentante della Comunità Internazionale in Bosnia ed Erzegovina fece presente una difficoltà, che mai era stata sollevata in precedenza. Cioè, che i dieci anni previsti all’articolo 10 comma 3 dell'Accordo per la restituzione dei beni della Chiesa a suo tempo nazionalizzati, sembravano troppo pochi, perché una tale scadenza avrebbe potuto mettere a rischio il fragile sistema economico del Paese. L’Alto Rappresentante proponeva quindici anni come termine per la futura restituzione, anche perché così era previsto da una Commissione interministeriale che stava prepararando una proposta di legge sulla restituzione.
Il Protocollo Addizionale e la ratifica
Durante l’estate 2006 ci furono intense trattative con l’Ufficio dell’Alto Rappresentante e le più alte Autorità del Paese, al fine di risolvere questa difficoltà. Dopo aver consultato i Vescovi, per evitare l’impressione che la Chiesa Cattolica fosse interessata all’Accordo per questioni materiali, la Santa Sede rinunciò ad ogni termine di scadenza, e si disse disposta a rimandare questo aspetto della questione alla futura legge che dovrà regolare la restituzione di tutti i beni nazionalizzati (e non soltanto quelli della Chiesa Cattolica).
La proposta della Santa Sede fu accettata e si giunse alla firma di un Protocollo Addizionale come parte integrante dell’Accordo di Base. Essa ebbe luogo il 29 settembre 2006 a Sarajevo, nella sede della Nunziatura Apostolica. Anche il Protocollo Addizionale fu firmato dal Sig. Ivo Miro Jović e dal Nunzio Apostolico Arcivescovo Alessandro D’Errico. Tuttavia, in quella circostanza il medesimo Rappresentante Pontificio fu incaricato di comunicare all’Alto Rappresentante e alle Autorità del Paese che il Protocollo Addizionale doveva essere considerato come un gesto di buona volontà da parte della Santa Sede, e che ora essa auspicava vivamente che la legge sulla restituzione potesse essere approvata in tempi brevi.
Dopo il necessario iter parlamentare, nella seduta della Presidenza collegiale svoltasi il 20 agosto 2007 all’unanimità fu presa la deliberazione sulla ratifica dell’Accordo di Base e del Protocollo Addizionale. La solenne cerimonia dello scambio degli strumenti di ratifica ebbe luogo in Vaticano il 25 ottobre 2007, tra il Cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone e il Presidente di turno della Presidenza Collegiale Sig. Željko Komšić.
Il contenuto dell’Accordo
L’Accordo di Base con la Bosnia ed Erzegovina è composto da un preambolo e 19 articoli. Come nella maggior parte dei Concordati o di simili Accordi della Santa Sede con gli Stati, nel preambolo si menzionano alcuni principi (e in particolare quello di autonomia ed indipendenza dello Stato e della Chiesa, nonché quello della loro disponibilità alla mutua collaborazione). Poi, nei 19 articoli si regolano la questione della personalità giuridica delle istituzioni ecclesiastiche, il libero esercizio della missione della Chiesa, la libertà di culto, l’inviolabilità del segreto confessionale, la costruzione degli edifici sacri, i giorni non lavorativi per i cattolici, il diritto di acquistare possedere usufruire o alienare beni mobili e immobili, l’organizzazione di strutture cattoliche educative ed assistenziali, l’insegnamento della religione, il diritto ad avere media propri e accesso a quelli pubblici. Secondo il Protocollo Addizionale, la restituzione dei beni a suo tempo nazionalizzati, sarà eseguita in conformità alla legge che regolerà tale materia, anche per ciò che riguarda il periodo della loro restituzione.
La questione dei matrimoni
Le varie bozze conservarono a lungo un articolo che prevedeva gli effetti civili del matrimonio religioso, come di solito avviene in simili Accordi della Santa Sede con gli Stati. Tuttavia, i Vescovi locali chiesero che il matrimonio canonico non avesse effetti civili, in considerazione della complessità multietnica e multireligiosa della Bosnia ed Erzegovina, che consigliava di tener del tutto separati i due fori in materia matrimoniale.
La Commissione Mista per l’applicazione dell’Accordo
Per una serie di circostanze, fino ad oggi (maggio 2009) l’Accordo di Base – nonostante sia entrato in vigore nel 2007 – è rimasto al livello dei principi. Da qualche mese si lavora intensamente per la fase applicativa. L’avvio della fase applicativa fu al centro degli incontri che il Segretario per i Rapporti della Santa Sede con gli Stati, l’Arcivescovo Dominique Mamberti, ebbe a Sarajevo durante la sua visita Ufficiale di un anno fa (26 - 29 aprile 2008). In particolare, egli propose che si formasse al più presto la Commissione Mista prevista dall’Accordo di Base e dal Protocollo Addizionale. La proposta fu ben accolta dalle Autorità di Sarajevo, e il 29 luglio 2008 fu annunciata la formazione della Commissione Mista.
Essa è composta da dieci membri, con cinque rappresentanti per ciascuna delle due parti. Il Ministro per i Diritti umani e i Rifugiati, Sig. Safet Halilović è Co-Presidente per la parte statale (gli altri quattro membri della Bosnia ed Erzegovina sono: il Ministro degli Affari Esteri, Sig. Sven Alkalaj; il Ministro degli Affari Civili, Sig. Sredoje Nović; il Ministro della Giustizia, Sig. Bariša Čolak; il Vice-Ministro delle Finanze, Sig. Fuad Kasumović). Per la Santa Sede il Co-Presidente è il Nunzio Apostolico, Arcivescovo Alessandro D’Errico (gli altri membri sono: il Vescovo Ausiliare di Sarajevo, Mons. Pero Sudar; il Segretario della Nunziatura Apostolica, Mons. Waldemar Stanisław Sommertag; il Ministro Provinciale dei Francescani di Erzegovina, Fra’ Ivan Sesar; il Prof. Don Tomo Vukšić).
La prima riunione della Commissione ebbe luogo il 17 dicembre 2008. Sin ad oggi si sono avute tre riunioni; ne sono previste dieci per quest’anno. La Commissione ha un mandato di due anni (fino al mese di settembre del 2010). E’ stato concordato di lavorare in tre aree: la prima riguarda le leggi applicative dell’Accordo; la seconda si riferisce alla preparazione degli Accordi complementari previsti dall’Accordo di Base; la terza concerne la legge sulla restituzione dei beni a suo tempo nazionalizzati, per ciò che è di competenza della Commissione (secondo quanto è stabilito dal Protocollo Addizionale).
III
Contributo dell’Accordo di Base
al dialogo ecumenico e interreligioso

Vorrei ora accennare all’importanza dell’Accordo in rapporto alla Comunità ortodossa e a quella musulmana, nel contesto multietnico e multiconfessionale del Paese.

Secondo le stime dell’Agenzia per la Statistica di Bosnia ed Erzegovina, oggi il Paese conta circa 3.843.000 abitanti, di cui il 13% sono cattolici. Certamente è un Paese piccolo dal punto di vista statistico. Tuttavia, tenendo conto della sua posizione geografica e della secolare composizione multietnica e multiconfessionale della popolazione, non c’è dubbio che si tratta di un Paese di notevole importanza, al quale – come disse il Card. Bertone nel discorso summenzionato – “la Santa Sede guarda con privilegiata attenzione”. In esso tradizionalmente convivono tre popoli costitutivi: i croati, i serbi e i bosniaci. I croati per lo più sono cattolici, i serbi sono ortodossi e i bosniaci sono musulmani. Così la linea che definisce l’appartenenza ad una Comunità etnica, quasi regolarmente coincide anche con quella che riguarda la fede religiosa. In questo Paese dunque s’incontrano, s’incrociano e convivono tre popoli diversi e tre religioni differenti. I loro appartenenti sono sparsi e spesso mescolati nei villaggi e nelle città, anche se non dappertutto in misura eguale.
Vorrei pure sottolineare che storicamente in Bosnia ed Erzegovina da secoli coesistono anche tre culture e civilizzazioni diverse: quella mediterranea e mittleuropea dei cattolici, quella ottomana dei musulmani e  quella orientale-bizantina degli ortodossi. E come accade un po’ dappertutto dove si vive una vicinanza duratura di elementi culturali diversi, anche in Bosnia ed Erzegovina è nato un novum culturale: una società in cui – come scrisse uno scrittore di prestigio (Miroslav Krleža) – “si sono mescolati vino latino e olio bizantino”.
Questa convivenza di elementi diversi non sempre è stata felice, e talvolta ha portato ad aspri confronti e tensioni, come in epoca recente, quando la guerra fratricida causò tanta distruzione e tanta sofferenza. Ora, a quasi 14 anni dall’Accordo di Pace di Dayton, resta ancora parecchio da fare, in termini di ricostruzione materiale e morale. Dal nostro punto di vista sembra necessario pensare ancor più e ancor meglio a come costruire una pace “giusta” e una piena armonia sociale: una pace che garantisca ai singoli e ai popoli costitutivi di esprimersi, rapportarsi, e avere un ruolo nel Paese al meglio delle loro possibilità. Per giungere a ciò, pare necessario un rinnovato dinamismo di riconciliazione tra tutte le parti sociali (politiche, etniche e religiose). C’è da lavorare con fiducia e rinnovata speranza, per un dialogo positivo e costruttivo, specialmente oggi, quando sono in discussione questioni urgenti per il presente e il futuro del Paese.
In questa prospettiva, mi sembra importante il fatto che anche la Chiesa ortodossa autocefala serba qualche mese fa abbia stipulato con la Bosnia ed Erzegovina un Accordo per la Comunità ortodossa presente nel Paese, molto simile all’Accordo con la Santa Sede. Anzi, non è un mistero che l’Accordo con la Chiesa ortodossa si ispira in moltissimi punti ad esso e si è generalmente d’accordo nel dire che il nostro Accordo è servito da modello per la Chiesa Ortodossa, nella sua ricerca di un quadro giuridico adeguato in Bosnia ed Erzegovina.
Ma non c’è solo questo! Quando si era giunti (nel 2007) alla decisione presidenziale per la firma di questo Accordo con la Chiesa ortodossa, le cose si complicarono per l’articolo che riguarda l’insegnamento della religione nelle scuole. Il Sig. Komšić, Membro della Presidenza Collegiale, all’inizio votò contro quest’Accordo, già controfirmato dal Patriarca di Belgrado, proprio a motivo della formulazione riguardante l’insegnamento della religione ortodossa nelle scuole. Ebbene, su richiesta delle Autorità ortodosse, fu proprio il Nunzio Apostolico ad  adoperarsi presso il Sig. Komšić per la soluzione della difficoltà. Questi si disse disposto a cambiare il suo voto se l’articolo controverso avesse riportato esattamente (e senza le aggiunte che si erano sovrapposte) la formulazione dell’Accordo con la Santa Sede. Così la questione fu risolta e si giunse alla firma dell’Accordo con la Chiesa ortodossa. Ovviamente ne siamo felici, perché lo spirito di dialogo ha portato buon frutto; e siamo fiduciosi che anche questo gioverà alla crescita della fiducia reciproca e alla collaborazione tra le due Comunità.
Per quanto concerne la Comunità islamica di Bosnia ed Erzegovina, alla fine del processo di elaborazione dell’Accordo di Base essa non era contraria alla sua stipulazione. Tuttavia non pensava a un simile Accordo con lo Stato, perché riteneva sufficiente la legge sulla libertà religiosa e sullo stato giuridico delle Comunità religiose, che ho sopra menzionato. Da qualche tempo però, anche la Comunità islamica si è dichiarata interessata a un simile Accordo con lo Stato, per meglio definire il quadro giuridico delle sue attività. E se l’Accordo con la Santa Sede potrà servire da modello, di certo la Comunità cattolica ne sarà ben contenta.
Devo anche far menzione di un’altra questione, che spesso viene sollevata; e cioè, quella che riguarda il livello di simili Accordi tra lo Stato e le altre Comunità religiose. Certamente non si può trascurare la differenza che viene dal fatto che solo nel nostro Accordo ci sono due soggetti di diritto internazionale (la Bosnia ed Erzegovina e la Santa Sede). Noi abbiamo detto e ripetiamo il nostro vivo desiderio che anche le altre Comunità religiose possano vedere ben definito il quadro giuridico della loro presenza nel Paese. Il resto non dipende da noi. Intanto però vorrei far notare che, per il principio di eguaglianza dei tre popoli costitutivi, proprio dalla dimensione internazionale dell’Accordo di Base con la Santa Sede vengono comunque ulteriori garanzie per tutte le Comunità religiose nel Paese, ed anche per gli Accordi che saranno stipulati con esse, perché comunque anche questi saranno connessi con il nostro Accordo.  
Consentitemi di aggiungere ancora un elemento significativo per la prospettiva ecumenica e interreligiosa. Dopo qualche perplessità iniziale (che ho menzionato nella seconda parte di questa Relazione), la stipulazione dell’Accordo di Base tra la Bosnia ed Erzegovina e la Santa Sede è stata appoggiata da tutte le Comunità religiose e da tutti i partiti politici. Così esso è stato sempre votato all’unanimità in tutte le istanze del suo iter procedurale - al Consiglio dei Ministri, alla Camera dei Rappresentanti (Camera bassa), alla Camera dei Popoli (Camera alta) e alla Presidenza collegiale. Qualcuno ha detto e scritto che l’Accordo di Base costituisce un felice esempio della possibilità di dialogo e di collaborazione in Bosnia ed Erzegovina. Il nostro augurio è che questo esempio rafforzi la convinzione che è possibile anche oggi – come in passato – una collaborazione costruttiva in Bosnia ed Erzegovina, pur nella differenziazione multietnica e multireligiosa che caratterizza il Paese, e pur tra le ferite che ancora sussistono per la guerra recente.
Per ciò che la Chiesa cattolica e la Santa Sede hanno contribuito per il consolidamento dell’armonia sociale attraverso l’Accordo di Base, siamo grati alla Provvidenza di Dio. Ma non ne facciamo un vanto, perché anche nelle nostre attività a livello internazionale abbiamo sempre presente l’insegnamento del Divin Maestro, che ci ha chiesto di ripetere incessantemente: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Lc. 17,10).


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