domenica 29 giugno 2014

25° di episcopato e ordinazioni sacerdotali nella Cattedrale di Zagabria

Il 20 ed il 21 giugno 2014 sono stati giorni importati per la vita ecclesiale nella Capitale della Croazia. Nel primo giorno si è celebrato il 25° dell'ordinazione episcopale del Cardinale Josip Bozanic, Arcivescovo di Zagabria, e lo stesso Presule in una solenne concelebrazione nel secondo giorno ha ordinato 14 nuovi sacerdoti. I temi della Fede, della Pastorale, della Chiesa e della Vita Sacerdotale, hanno riempito di significati i due eventi che hanno richiamato la partecipazione intensa dei fedeli, della cittadinanza e delle Autorità civili e religiose croate. Ad ambedue gli avvenimenti è stato presente anche il Nunzio Apostolico in Croazia, l'Arcivescovo Alessandro D'Errico, che ha condiviso nella fraternità episcopale le testimonianze di vicinanza espresse al Cardinale insieme con i Vescovi della Croazia e di BiH e con il numerosissimo Clero locale, ed ha partecipato al rito solenne delle ordinazioni. 
Sul portale dell'Arcidiocesi di Zagabria, grazie alla traduzione simultanea on line, si possono leggere i corposi commenti e le narrazioni che hanno seguito i due eventi insieme con la possibilità di scorrere visivamente le belle gallerie fotografiche dedicate. Si possono conoscere le iniziative culturali e storiche, i convegni, le esposizioni, le caratterizzazioni assunte negli ultimi decenni dal legame della Chiesa Croata con il Papa e con la Santa Sede, e le produzioni multimediali dedicate alle attività svolte dal Cardinale Bozanic nei suoi 25 anni di episcopato. Si possono seguire le fasi della celebrazione delle ordinazioni sacerdotali e recepire i contenuti della Catechesi Cristologica ed Ecclesiale che il Cardinale ha rivolto all'Assemblea durante la Sacra celebrazione.
I due eventi sono stati riportati anche dai principali portali cattolici e da molte testate laiche. 



mercoledì 11 giugno 2014

La Conferenza sulla Diplomazia Pontificia al Croatian Diplomatic Club di Zagabria

In occasione della Giornata della Diplomazia (7 Giugno 2014) l'Ambasciatore Sergej Ivan Morsan, Presidente del Croatian Diplomatic Club di Zagabria, ha invitato S.E. Alessandro D'Errico Nunzio Apostolico in Croazia a tenere una Conferenza sulla Diplomazia Pontificia.
Il Club ha una storia importante che lo lega alle scelte operate fin dal 1990 dal Ministero degli Affari Esteri per dotare la Croazia di una nuova Diplomazia; esso ha anche numerosi e prestigiosi associati. 
Notizie approfondite su questa storia e sulle attività del Club si possono leggere in inglese sul portale ufficiale in rete (vedi questapagina).

Accogliendo lo stimato invito il giorno 10 Giugno 2014 il Nunzio Apostolico in Croazia ha svolto il suo discorso trattando il tema: “Questioni di Diplomazia Pontificia”.
La Conferenza si è tenuta con grande cerimonia nella Sede del Club Diplomatico zagabrese alla presenza di numerosi Ambasciatori, membri del Corpo Diplomatico accreditati presso la Repubblica di Croazia, di Docenti universitari, di Personalità onorarie, di Associati e del Rettore dell'Università Cattolica Dott. Zeljko Tanjič.


I commenti e i brani pubblicati dai media in rete che riguardano la Conferenza del Nunzio, e le Tematiche trattate circa la Storia della Diplomazia, e circa il Dialogo la Pace e gli Orientamenti della Santa Sede, si stanno moltiplicando in tempo reale ed essi sono proposti dai principale portali cattolici e laici.

Il migliore commento appare comunque quello che emerge dalla lettura diretta del testo della Conferenza predisposto in italiano personalmente e magistralmente da S. E. Alessandro D'Errico. Lo presentiamo di seguito con la segnalazione dei primi link incontrati nella ricerca in rete.


QUESTIONI DI DIPLOMAZIA PONTIFICIA 
Conferenza del Nunzio Apostolico
Arcivescovo Alessandro D’Errico
al Croatian Diplomatic Club

 (Zagreb, 10 giugno 2014)


Signor Presidente del Club Diplomatico,
Signori Ambasciatori,
Signori e Signore,

Sono molto grato all’Ambasciatore Sergej Ivan Morsan, Presidente del Croatian Diplomatic Club, per l’invito che mi ha rivolto a tenere questa Conferenza per i membri e gli amici del CDC, in occasione della Giornata della Diplomazia Croata, che si è celebrata il 7 giugno scorso. L’ho accolto volentieri, per l’alta considerazione che ho del Club, ed anche perché il 7 giugno costituisce una data importante pure nelle relazioni tra la Santa Sede e la Croazia. Proprio in quella data, nel lontano 879, il Papa Giovanni VIII scrisse al Principe Branimir, inviandogli la sua benedizione; e ciò - come sapete - viene considerato come il primo riconoscimento della Croazia nel medioevo. 

Articolerò la mia esposizione in due parti. Nella prima vorrei presentare a grandi linee alcuni principi che guidano la diplomazia vaticana; e poi venire più specificamente alle nostre attività diplomatiche in Croazia.

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Prima però, come premessa, mi sembra importante chiarire cosa s’intende per Santa Sede e per Stato della Città del Vaticano. Nel diritto e nella prassi internazionale, per Santa Sede s’intende il Governo Centrale della Chiesa Cattolica, al quale viene riconosciuta sovranità piena e assoluta nella sua missione spirituale e perciò il diritto di legazione attivo e passivo, come a uno Stato. Attualmente la Santa Sede ha relazioni diplomatiche con 180 Paesi (l’ultimo ad allacciare relazioni ufficiali è stato il Sudan del Sud, il 22 febbraio 2013). Ad essi bisogna aggiungere l’Unione Europea e il Sovrano Ordine di Malta. Poi c’è una Missione Speciale presso l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina. A livello multilaterale, la Santa Sede è presente presso una trentina di Organizzazioni Internazionali e Organizzazioni Regionali. Ottantuno dei Paesi che hanno rapporti diplomatici con la Santa Sede hanno una propria Ambasciata a Roma.

Quali sono i motivi per giustificare questo riconoscimento, che attual-mente è unico nella storia del diritto internazionale e diplomatico? Ci sono diverse teorie internazionalistiche, che non mi è possibile esporre qui per limiti di tempo. Tuttavia, vorrei limitarmi a menzionare un documento fondamentale a questo riguardo; e cioè, il Trattato Lateranense con l’Italia, del 1929. Con esso - dopo la scomparsa degli Stati Pontifici - fu riconosciuta la sovranità piena e assoluta del Papa nella sua missione spirituale (come a un Capo di Stato); e al tempo stesso fu riconosciuta anche la sua potestà sovrana su un piccolo territorio di Roma, intorno al colle Vaticano. Nacque così lo Stato della Città del Vaticano (SCV). Perciò, per SCV intendiamo il piccolo territorio (44 ettari) riconosciuto come Stato, per garantire l’indipendenza e la sovranità della Santa Sede, e per facilitare la sua missione spirituale ma anche internazionale.

Allora, chi è il soggetto di diritto internazionale, il soggetto della diplomazia pontificia? La Santa Sede o lo Stato della Città del Vaticano? La risposta è che entrambi sono soggetti di diritto internazionale; e entrambi hanno un unico Sovrano, che è il Papa. Ma lo SCV è certamente atipico nella sua sovranità, perché essa è finalizzata a quella della Santa Sede.

Di conseguenza, dire diplomazia dello SCV o Ambasciata dello SCV è parecchio limitativo. La diplomazia pontificia è diplomazia della Santa Sede; e chi vi parla è un Ambasciatore della Santa Sede. Così pure, il nostro passaporto è della Santa Sede; e nella lista diplomatica di tutti i Paesi con i quali abbiamo relazioni diplomatiche, veniamo sotto il nome “Santa Sede”. 

Tuttavia, direi che è corretto anche parlare di diplomazia vaticana, se per “Vaticano” intendiamo non solo lo SCV, ma una maniera più estesa di intendere la Santa Sede, come autorità morale e spirituale nella Comunità Internazionale.

A conferma di ciò, vorrei ricordare che nella lista dei Paesi pubblicata annualmente dall’ONU, al nome “Santa Sede” è aggiunta una specificazione; e cioè, che all’ONU deve essere usato il nome “Santa Sede”, eccetto tuttavia ciò che riguarda l’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni e l’Unione Universale delle Poste, ove bisogna usare il termine SCV.

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Venendo ora ai grandi principi che ispirano la diplomazia pontificia, direi che il primo è questo:

1° principio. La Santa Sede ha piena consapevolezza del suo ruolo singolare nella Comunità Internazionale: si tratta di un’autorità spirituale, morale, non temporale. Un’autorità che viene al Papa dal fatto di essere Capo della Chiesa Cattolica. Spesso i Sommi Pontefici hanno parlato del ruolo della Santa Sede come “esperta in umanità”, “coscienza morale” dell’umanità. Questo è il campo proprio di competenza della Santa Sede: non questioni di interessi economici o militari, né di schieramenti politici.

Certamente ci rendiamo conto che talvolta non è facile partecipare ad assisi di diplomazia multilaterale o a negoziati bilaterali senza una cooperazione economica o militare da offrire in contropartita. Ma crediamo fermamente nella forza delle idee e della ragione. E in ciò siamo incoraggiati dai risultati a volta sorprendenti ottenuti dalla nostra diplomazia disarmata: come nel corso della mediazione tra Argentina e Cile (a partire dal 1979); oppure quando pensiamo a ciò che può essere stato il ruolo avuto dalla Santa Sede - di cui si parla tanto spesso - nel declino dei regimi comunisti del secolo scorso.

Qualche volta è più difficile. E allora c’è un “martirio della pazienza” da esercitare, come diceva il grande Cardinale Agostino Casaroli, che fu il primo Segretario di Stato di Giovanni Paolo II, per molti anni. E con pazienza continuiamo a proporre le nostre idee, e ad attendere tempi migliori.

2° principio. Al centro e alla base della nostra diplomazia poniamo la persona umana, senza differenze di razza, di cultura o di religione; e, di conseguenza, i diritti fondamentali della persona. Per citarne alcuni - i più frequenti nei nostri interventi - il diritto alla vita, all’educazione, alla libertà, alla partecipazione nella vita politica. Particolare importanza diamo alla libertà di coscienza e di religione: ogni persona deve essere libera di esprimersi secondo quanto gli viene ispirato o dettato dalla propria coscienza; e deve essere libera di scegliere e praticare la propria religione, non solo a livello privato, ma anche a livello pubblico e sociale. Perciò, quali che siano i sistemi politici, giuridici o economici, riteniamo che essi dovrebbero porsi al servizio della persona umana e mai “sopra” o “contro” di essa.

3° principio. A livello di aggregazione di gruppi e di popoli, riteniamo che non ci siano modelli stereotipati da offrire. Siamo contrari ad ogni forma di neo-colonialismo politico o culturale, che cercasse di imporre un sistema che funziona in ben altre condizioni di economia, politica e storia. In altre parole, non proponiamo nessun sistema politico o costituzionale come il migliore in assoluto. Tuttavia, in termini generali, riteniamo che gli ideali democratici meglio garantiscono la partecipazione dei cittadini al processo politico, e meglio assicurano la necessaria corresponsabilità nel destino del proprio Paese.

4° principio. A livello di relazioni internazionali, sosteniamo gli sforzi della diplomazia multilaterale e il rispetto del diritto interna-zionale. Dal nostro punto di vista, come avviene per i singoli, anche le relazioni tra gli Stati devono essere regolate da giustizia, solidarietà, uso della ragione, leggi giuste; e non dalla violenza, dalla forza, dalle intimida-zioni e dalle pressioni.

Questo è il motivo per il quale la Santa Sede ha sempre sostenuto il ruolo dell’ONU. Ed è per questo motivo che i Papi hanno sempre fatto visita all’ONU. Ovviamente l’ONU lo intendiamo non come un centro burocratico-amministrativo, ma come un centro morale, dove tutti i Paesi e tutti i Popoli del mondo sviluppano la consapevolezza di costituire come una grande famiglia, la Famiglia delle Nazioni. E ciò richiede rispetto, fiducia, sostegno reciproco, specialmente per i Paesi più poveri e più deboli, analogamente a ciò che avviene in una famiglia.

5° principio. Alla luce di tutto ciò, riteniamo che la guerra non costituisce una soluzione per i conflitti, che purtroppo emergono sulla scena internazionale con regolare periodicità. La guerra andrebbe sempre evitata e scongiurata, perché la violenza è ripetitrice di violenza. Basta ricordare ciò che disse Papa Benedetto XV per scongiurare la prima Guerra Mondiale; l’appello di Pio XII: ‘Con la pace niente è perduto, con la guerra tutto può esserlo’ (Radiomessaggio del 24 agosto 1939); il grido accorato di Paolo VI davanti alle Nazioni Unite (4 ottobre 1965): “Jamais plus la guerre, jamais plus la guerre!”; e gli interventi di Giovanni Paolo II prima del conflitto in Iraq, con i suoi diversi richiami a far prevalere i pourparler diplomatici piuttosto che il ricorso alla guerra. Circa Papa Francesco, dirò tra breve.

In altre parole, crediamo nella forza e nella possibilità del dialogo e del negoziato, e proponiamo che bisogna sempre fare tutto il possibile per giungere ad una piena riconciliazione tra le parti in conflitto, attraverso opportune vie diplomatiche.

Perciò condanniamo il terrorismo e ogni forma di violenza che venisse esercitata per far valere i propri diritti. Per casi eccezionali, quando proprio fosse inevitabile il ricorso alle armi, per adempiere il dovere di proteggere lo Stato o la Comunità Internazionale (diritto di difesa), diciamo che questo uso della forza deve essere ben definito e limitato da specifici criteri umanitari. E ciò per evitare - tanto per essere chiari - gli abusi e i crimini che in epoca recente si sono avuti anche in Europa, e anche in Croazia e nei Paesi vicini.

In termini positivi, crediamo nella necessità di promuovere sempre - a livello preventivo - le condizioni necessarie per una pace giusta e per una solidale armonia sociale e internazionale. In altre parole, una pace che non significa solo assenza di guerra, ma un insieme di condizioni positive, che garantiscano ai singoli, alle comunità e agli Stati, di esprimersi e svilupparsi con serenità, nel rispetto della dignità della persona umana, in armonia con gli altri, con relazioni ispirate a criteri di giustizia e di solidarietà.     
                
6° principio. Promuoviamo una cultura che privilegi il dialogo, come base e fondamento delle relazioni sociali ed internazionali. A questo riguardo, le chiare indicazioni del recente magistero pontificio hanno trovato in Papa Francesco un convinto e tenace assertore.

Per quanto riguarda le relazioni internazionali, basta menzionare ciò che egli ha detto al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, il 13 gennaio scorso: “Ovunque la via per risolvere le problematiche aperte deve essere quella diplomatica del dialogo. È la strada maestra già indicata con lucida chiarezza dal Papa Benedetto XV, allorché invitava i responsabili delle Nazioni europee a far prevalere «la forza morale del diritto» su quella «materiale delle armi», per porre fine a quella «inutile strage» (cfr. Benedetto XV, Lettera ai Capi dei Popoli belligeranti [1 agosto 1917]: AAS 9 [1917], 421-423), che è stata la Prima Guerra Mondiale, di cui quest’anno ricorre il centenario”.

Accanto a ciò, Papa Francesco ripete spesso che per la Chiesa è prioritario un “cammino di dialogo” in tutte le sue relazioni e in tutte le sue attività. Così per esempio, nell’Evangelii Gaudium al n. 238 egli scrive testualmente: “Per la Chiesa, in questo tempo ci sono in modo particolare tre ambiti di dialogo nei quali deve essere presente, per adempiere un servizio in favore del pieno sviluppo dell’essere umano e perseguire il bene comune: il dialogo con gli Stati, con la società - che comprende il dialogo con le culture e le scienze - e quello con altri credenti che non fanno parte della Chiesa cattolica“. In altre parole, il Papa è convinto che è necessario seguire sempre la via di un dialogo costruttivo, con tutti. E invita incessantemente le comunità cristiane ad essere sempre luoghi di accoglienza, di confronto aperto e pacato, dalle porte aperte, operatrici di riconciliazione, di pace, della cultura dell'incontro; senza ovviamente prescindere dalla fedeltà alla specifica identità della Chiesa. Così pure, egli precisa:“La Chiesa non dispone di soluzioni per tutte le questioni particolari; tuttavia, insieme con le diverse forze sociali, accompagna le proposte che meglio possono rispondere alla dignità della persona umana e al bene comune” (Ev. G. 241).

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Questi sono i principi più importanti che ispirano l’azione diplomatica della Santa Sede. Questi principi hanno guidato e guidano la diplomazia pontificia anche in Croazia.

Come sapete, il riconoscimento dell’indipendenza da parte della Santa Sede avvenne 13 gennaio 1992. I rapporti diplomatici furono stabiliti l’8 febbraio successivo e, dopo qualche settimana, il 29 febbraio fu nominato il primo Nunzio Apostolico. Qui mi pare opportuno fare una precisazione. Spesso si dice che la Santa Sede è stata il primo soggetto di diritto internazionale a riconoscere la Croazia. Ciò non è esatto, perché il primo a riconoscerla - nel 1991 - fu la Slovenia, che fu seguita dall’Islanda, dalla Lituania, dall’Irlanda e dalla Germania. Il riconoscimento della Santa Sede venne agli inizi del 1992, due giorni prima di quel famoso 15 gennaio 1992, allorché gli altri Paesi membri della Comunità Europea riconobbero l’indipendenza della Croazia.

Erano anni difficili, quelli che erano seguiti al crollo del muro di Berlino (9 novembre 1989). L’Occidente, innanzitutto quell’europeo, viveva quegli anni con atteggiamenti diversi. La prima reazione era stata l’euforia per la caduta del comunismo; ma c’era anche tanta incertezza per il futuro. Come tutte le grandi e rapide trasformazioni, il travaglio verso nuovi assetti politici, economici e umani, rimaneva lungo e difficile. E difatti ciò che accadde in Croazia lo dimostra. Qui, dopo la gioia suscitata dalla vittoria dei partiti politici non comunisti alle elezioni del 1990, era venuta tanta resistenza ai cambiamenti, fino alla guerra che si protrasse fino al 1995, con tanti lutti e distruzioni.

Che Giovanni Paolo II (il Papa di quel periodo) avesse una particolare attenzione per il popolo croato, lo dimostrano le tre Visite Pastorali da lui compiute, e i numerosi interventi a livello pastorale e diplomatico. Ma dev’essere chiaro che, riconoscendo Croazia e Slovenia - i cui popoli avevano fatto democraticamente la scelta dell’indipendenza, secondo quanto consentito dalla Costituzione della Jugoslavia del 1974 - il Papa ha sempre precisato che tale riconoscimento non era diretto contro nessuno. Piuttosto, davanti al triste spettacolo dei combattimenti, Giovanni Paolo II pensò che il riconoscimento internazionale delle due Repubbliche avrebbe potuto porre fine al conflitto armato. Perciò, dando precise istruzioni al suo Segretario di Stato, egli chiese che ogni iniziativa fosse accompagnata da una precisazione: il riconoscimento delle nuove Repubbliche da parte della Santa Sede era pensato non par allargare le ostilità, ma per fermarle.

Tra l’altro - dinanzi alle incertezze della Comunità internazionale - il 26 novembre 1991, il Card. Sodano convocò gli Ambasciatori della CSCE, consegnando loro un Memorandum, che richiamava alcuni principi del diritto internazionale, e in particolare l’ottavo principio dell’Atto finale di Helsinki: “Uguaglianza dei diritti e autodeterminazione dei popoli”; nonché il decimo principio, riguardante l’adempimento in buona fede degli obblighi derivanti dal diritto internazionale. Per la Santa Sede - il Cardinale fu molto chiaro - era essenziale che il riconoscimento delle due Repubbliche avvenisse in modo coordinato  e che fosse condizionato ai dieci principi dell’Atto di Helsinki.

Il Cardinale sottolineò anche il dovere delle nuove Repubbliche indipendenti di rispettare i diritti umani fondamentali e la democrazia, e di assicurare la protezione delle minoranze nazionali secondo i principi della CSCE. E così la Santa Sede chiese, con Nota del 20 dicembre 1991, d’inserire nel riconoscimento una clausola, secondo la quale la nuova Repubblica di Croazia doveva accettare la verifica da parte del Comitato degli Alti Funzionari della CSCE delle norme sulle minoranze nazionali.

Nei giorni scorsi, in occasione della canonizzazione di Giovanni Paolo II, abbiamo ascoltato e letto molti approfondimenti sul ruolo che egli ebbe nella costruzione di una nuova realtà europea “a due polmoni” - come ripeteva spesso - e in particolare nel processo d’indipendenza della Croazia. Qui mi consentirete di aggiungere una personale testimonianza, perché ho avuto l’onore di conoscerlo da vicino, e in quegli anni ero prima a Roma e poi a Varsavia, nella sua amatissima patria. Ebbene, quando ero in servizio a Roma (fino al 1992) e quando ero in Polonia (fino al 1999), lo sentii molte volte esprimere la sua amarezza e la sua preoccupazione per ciò che stava succedendo qui, in Croazia e nei Paesi vicini, alla fine del ventesimo secolo, in piena Europa. Perciò non esitò a levare incessantemente la sua voce, per richiamare l’attenzione del mondo e dei responsabili della Comunità internazionale. Per questo motivo, sentì suo dovere attivare le risorse migliori della diplomazia pontificia, affinché la voce del Papa avesse l’eco sperata. E, come ben sapete, si fece premura di seguire personalmente gli interventi degli organismi caritativi cattolici, affinché la vicinanza spirituale si traducesse anche in iniziative e gesti concreti di solidarietà. In breve, potrei dire che egli univa in maniera esemplare la sensibilità slava della sua origine polacca, con la responsabilità di Supremo Pastore della Chiesa Cattolica.

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Un altro elemento mi pare importante sottolineare. I rapporti stretti e cordiali della Santa Sede con il popolo croato hanno una storia plurisecolare. Come ho menzionato, già nel lontano 879 - oltre undici secoli orsono - Papa Giovanni VIII, in una lettera indirizzata al Principe Branimir, l’informava di aver elevato preghiere al Signore affinché “principatum terrenum, quem habes, prospere et securiter regere possis” (affinché il principato terreno che possiedi, tu lo possa dirigere in un modo sicuro e prospero). Questo gesto di Papa Giovanni VIII è considerato come il primo riconoscimento interna-zionale della Croazia, perché il riconoscimento del Papa - che allora era la più alta autorità ecclesiale e politica - era qualcosa di simile all’odierna ammissione nelle Nazioni Unite. Inoltre, sono ben documentati anche contatti anteriori tra la Sede Apostolica e la terra croata, fin dai tempi di San Paolo (2 Tim. 4,10).

Questi forti legami tra la Croazia e la Santa Sede non sono venuti meno attraverso i secoli, ed hanno ispirato le relazioni intercorse dal 1992 ad oggi.

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Segno tangibile delle eccellenti relazioni che intercorrono tra Croazia e la Santa Sede, sono i quattro Accordi firmati e ratificati tra il 19 dicembre 1996 e il 14 dicembre 1998. Il primo riguarda le questioni giuridiche; il secondo la collaborazione in campo educativo e culturale; il terzo l’assistenza ai fedeli cattolici membri delle Forze armate e della Polizia; il quarto questioni economiche.

L’idea di questi Accordi nacque subito dopo l’indipendenza della Croazia, perché da parte delle autorità civili ed ecclesiastiche si vedeva la necessità di affrontare di comune intesa questioni pendenti nei rapporti tra Chiesa e Stato, che non erano state risolte né al tempo della Repubblica Federativa Socialista di Jugoslava (1945-1991) né al tempo del Regno degli Sloveni, Croati e Serbi (1918-1929) e né al tempo del Regno di Jugoslavia (1929-1940). Inoltre, stava maturando sempre più la consapevolezza della necessità di affrontare in modo sistematico le relazioni Chiesa-Stato, in un quadro giuridico chiaro e stabile, in maniera simile a quella di altri Paesi democratici, che si possono paragonare alla Croazia per cultura, storia e composizione religiosa.

A distanza di diciotto anni dalla firma dei primi tre Accordi e di sedici di quello dell’Accordo sulle questioni economiche, si può affermare che la loro applicazione è stata sostanzialmente positiva. L’Accordo che tuttora richiede una maggiore applicazione è quello sulle questioni economiche, per ciò che riguarda i beni confiscati durante il regime comunista jugoslavo.

A riguardo di quest’ultimo Accordo, vorrei fare qualche osservazione circa il supporto finanziario che la Repubblica di Croazia assicura alla Chiesa Cattolica. In primo luogo, com’è detto all’articolo 6 par. 1, il motivo di tale sostegno finanziario è da ricercare nel contributo che la Chiesa cattolica dà alla promozione del bene comune, che lo Stato riconosce come “valore di utilità sociale … a servizio dei cittadini, nel campo culturale, educativo, sociale e etico”. In secondo luogo, vorrei chiarire che - contrariamente a quanto si legge spesso nei media - la somma versata annualmente - stando ai dati dell’anno 2012, che ho potuto verificare - è dello 0,21% del bilancio annuale della Repubblica. Infine, mi è caro rilevare che analogo contributo è assicurato anche alle altre denominazioni religiose. In questo senso, si può affermare che gli Accordi tra la Santa Sede e la Croazia hanno avuto benefici effetti anche per esse. E ciò riguarda non solo il campo economico, ma anche quello giuridico, giacché in questi anni sono stati firmati Accordi con 17 denominazioni religiose.

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Consentitemi infine di menzionare brevemente anche un ultimo importante argomento. In questo contesto di plurisecolari e consolidate relazioni con il popolo croato, e nella visione dell’Europa a due polmoni  - di cui ho parlato pocanzi - non può meravigliare l’appoggio incondizionato che la Santa Sede ha dato al processo di integrazione europea della Croazia.

Dal nostro punto di vista, la Croazia - per la sua storia e la sua collocazione geografica - è sempre stata parte della civiltà europea. In questa prospettiva, l’Arcivescovo Dominique Mamberti - il nostro “Ministro degli Esteri” (Segretario per i Rapporti con gli Stati) - il 30 giugno 2013, alla vigilia dell’entrata della Croazia nell’Unione Europea, dichiarò pubblic-amente che rendeva grazie a Dio “per un traguardo rimarchevole nella storia della Nazione croata” (Omelia alla chiesa di San Girolamo dei Croati, in Roma). Tuttavia, egli affermò che questo traguardo non doveva essere considerato come un punto di arrivo, ma come un punto di partenza per una nuova missione: “Questo vuole dire un impegno ancora più intenso nella costruzione della casa comune che è il nostro continente ... vedendo in essa non soltanto l’opportunità per il progresso e la prosperità della propria patria, ma anche per la costruzione dell’Europa come una casa comune di popoli di pari dignità”. E poi aggiunse: “Se un compito ha oggi la Croazia, se c’è un impegno oggi che possiamo consegnare con fiducia al popolo croato, è quello di ravvivare in Europa la consapevolezza delle radici cristiane, mediante la testimonianza di valori di cui essa stessa è portatrice”.

Perciò, guardando al futuro europeo della Croazia, il nostro augurio è che, come altre Nazioni di solida tradizione cristiana, essa possa offrire all’Europa, uno specifico contributo di valori spirituali e morali; e cioè, di quei valori che hanno plasmato per secoli l’identità personale e nazionale dei suoi figli.

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Grazie per l’attenzione. Resto a disposizione per eventuali chiarimenti che fossero necessari. Grazie!  



martedì 10 giugno 2014

Solennità di Pentecoste al Santuario della Madre di Dio di Trsat

Nel cuore della devozione religiosa della Diocesi di Rijeka (Fiume), al Santuario della Madre di Dio che si ritrova a Trsat, rione storico e attrattivo della città istriana, l'Arcivescovo Alessandro D'Errico ha celebrato la Solennità di Pentecoste. Insieme con i confratelli Ivan Devčić arcivescovo metropolita di Rijeka e Zelimir Pulic arcivescovo di Zadar e Presidente della Conferenza Episcopale Croata, egli ha vissuto un momento intenso di spiritualità ecclesiale e di impegno pastorale legato sia ai significati della Pentecoste e sia al Ringraziamento per la Canonizzazione di Giovanni Paolo II, il quale è stato ricordato nello stesso giorno e nella stessa ricorrenza liturgica che lo vide undici anni fa pellegrino al Santuario.

La celebrazione è stata ampiamente commentata dai media cattolici che hanno anche riportato brani e testo intero dell'omelia del Nunzio Apostolico. Un buon commento si legge a firma di Helena Anušić sul portale web del Santuario che anche nella grafica fa riferimento al pellegrinaggio del Papa Santo. 


Dal commento tradotto ad sensum dal croato si conoscono le fasi e gli interventi della Celebrazione. L'Arcivescovo Devcic ha tenuto il discorso di benvenuto ed ha ricordato la figura ed il messaggio per la vita e per l'unità dato da Giovanni Paolo II che al Santuario per la Pentecoste esortò la Croazia ad essere il 'popolo della speranza'. Mons. D'Errico nella sua omelia, ricordando anch'egli la figura di Giovanni Paolo II, ha toccato le tematiche legate alla Preghiera allo Spirito Santo, alla Catechesi della Famiglia, che trova grande ispirazione nella devozione mariana del Santuario di Trsat, agli interventi del Magistero e al significato per la Pace degli avvenimenti legati al recente Viaggio di Papa Francesco in Terra Santa e all'accoglienza in Vaticano dei leader israeliano e palestinese nello stesso giorno di Pentecoste.

In effetti i temi che si evincono dalla lettura diretta del testo dell'omelia del Nunzio Apostolico sono molteplici ed abbracciano anche le problematiche dell'attualizzazione del messaggio evangelico nel contesto particolare della vita ecclesiale e sociale della Croazia.


Per la conoscenza e l'approfondimento di tutte queste tematiche proponiamo alla lettura l'intero testo in italiano dell'omelia di S. E. Alessandro D'Errico. Seguono in fondo al post alcuni link ai media cattolici e al portale del Santuario che ha proposto un sintesi fotografica della celebrazione.

Solennità di Pentecoste
Messa di ringraziamento
per la canonizzazione di Giovanni Paolo II
nell’11° Anniversario della Sua Visita del 2003
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Omelia del Nunzio Apostolico
(Rijeka, Santuario di Trsat, 8 giugno 2014)


Cari Confratelli nell’Episcopato,
Distinte Autorità civili e militari,
Cari Sacerdoti, Religiosi e Religiose,
Fratelli e Sorelle!

Vorrei rivolgere anzitutto un cordiale saluto a S.E. Mons. Ivan Devčić, Arcivescovo di Rijeka, ed esprimergli la mia viva gratitudine per l’invito a presiedere questa Santa Messa di ringraziamento per la canonizzazione del Papa Giovanni Paolo II, nel grato ricordo della sua Visita all’Arcidiocesi di Rijeka e a questo Santuario nel 2003. Insieme a lui, saluto fraternamente l’Ecc.mo Mons. Želimir Puljić, Presidente della Conferenza Episcopale croata, i Vescovi qui presenti, i Sacerdoti, i Religiosi, le Religiose, i Seminaristi e gli Operatori di pastorale. Un particolare saluto rivolgo alle Autorità civili e militari,  la cui presenza testimonia una volta di più la loro devozione verso San Giovanni Paolo II e rende ancora più significativa questa celebrazione. Uno speciale pensiero rivolgo alla Comunità francescana dei Frati Minori, alla cui custodia è affidato questo splendido Santuario fin dalla metà del quattrocento.

Sono lieto di vedere oggi tanta partecipazione di autorità e fedeli. A tutti ho l’onore di portare una particolare benedizione di Papa Francesco, con l’augurio che da questa celebrazione possano venire tanti buoni frutti, nel cammino di fede personale e comunitario, e nell’impegno di servizio alla società, specialmente verso le fasce più povere e bisognose.

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Nei giorni scorsi ho riletto l’omelia che Giovanni Paolo II fece qui, nella Solennità di Pentecoste, l’8 giugno 2003, durante la celebrazione della Santa Messa per le Famiglie. L’ho trovata di grande attualità, e per la nostra meditazione vorrei far riferimento a qualche indicazione pastorale che egli presentò in quella circostanza.

 Ricorderete che il tema principale fu la famiglia. Egli si riferì alla permanenza della Santa Casa della Vergine Maria, di San Giuseppe e di Gesù a Trsat, per presentare una densa catechesi sul carattere sacro e inviolabile della famiglia, e sulle conseguenze che ne derivano. Egli chiese un’attenzione privilegiata per l’istituto familiare, e provvedimenti concreti che ne favoriscano e tutelino la costituzione, lo sviluppo e la stabilità. E ciò perché non mancano difficoltà che esso spesso deve affrontare, qui in Croazia e dappertutto nel mondo.

Sono passati undici anni. Purtroppo sembrerebbe che le difficoltà non siano diminuite in questi anni. Lo ha sottolineato qualche giorno fa anche Papa Francesco, al Raduno promosso dal Rinnovamento nello Spirito Santo (1° giugno 2014): “Le famiglie sono la Chiesa domestica, dove Gesù cresce nell’amore dei coniugi e nella vita dei figli. E per questo il nemico attacca tanto la famiglia: il demonio non la vuole! E cerca di distruggerla, e far sì che l’amore non sia lì”.

Perciò, mi è caro ricordare a voi alcuni compiti specifici che Giovanni Paolo II affidò qui a Trsat alle famiglie cristiane. In primo luogo egli invitò a proporre, innanzitutto con la testimonianza di vita, l’autentico progetto di Dio sulla famiglia come comunità di vita fondata sul matrimonio; e cioè, sull’unione stabile e fedele di un uomo e di una donna, tra loro legati da un vincolo pubblicamente manifestato e riconosciuto. Poi egli esortò a farsi carico con responsabilità dell’educazione umana e cristiana dei figli, affidandosi anche all’aiuto esperto di educatori e catechisti seri e ben formati. Così pure, egli insistette sulla necessità di non stancarsi mai di pregare e di essere popolo della speranza.

Come sapete, anche Benedetto XVI presentò ed elaborò questi compiti nella sua Visita in Croazia del 2011, in occasione del primo Incontro Nazionale delle Famiglie. E questi compiti sono ripetuti con insistenza da Papa Francesco, specialmente nel cammino di preparazione all’Assemblea Straordinaria Generale del Sinodo dei Vescovi, che avrà luogo in Vaticano, dal 5 al 19 ottobre 2014.

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So bene che la Chiesa di Dio che è in Croazia, fedele alle sue tradizioni, non ha mai trascurato di fare tutto il possibile per dare pratica attuazione alle indicazioni del magistero pontificio. In particolare, mi rallegro con voi per il fatto che durante le prossime celebrazioni di san Vito (14-15 giugno), l’Arcidiocesi di Rijeka aprirà l’Anno della Famiglia, e che proprio qui a Trsat nel 2015 sarà celebrato il Secondo Incontro Nazionale delle Famiglie.

Come Rappresentante Pontificio, apprezzo molto questo impegno costante in difesa della famiglia. E’ il segno della vitalità di queste Chiese particolari; di Chiese che vogliono essere fedeli alla loro missione, nonostante le difficoltà che talvolta si presentano.

Nella nostra visione di fede, la famiglia e il matrimonio costituiscono uno dei beni più preziosi dell’umanità (Familiaris Consortio, 1), “la cellula fondamentale della società” (Ev. Gaudium, 66), “la sorgente di ogni fraternità … il fondamento e la via primaria della pace” (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2014, 1). Essi hanno in Dio stesso la loro origine e sono stati benedetti dalla nascita di Gesù a Betlemme e dalla sua vita a Nazareth. Così pure, resta per noi fondamentale l’insegnamento di Gesù sull’unità e fedeltà degli sposi, allorché egli rifiutò il ripudio e l’adulterio.  

Ci rendiamo conto delle visioni diverse che spesso vengono proposte da chi non vive il nostro dinamismo di fede, e si ispira a criteri diffusi di secolarizzazione e relativismo. E neppure trascuriamo le difficoltà oggettive che vengono dalla delicata situazione economica. Tuttavia, riteniamo nostro dovere fondamentale e irrinunciabile di riaffermare il carattere sacro della famiglia e difenderla con tutto l’impegno di cui siamo capaci. Vogliamo farlo come un contributo positivo al progresso e alla crescita della Croazia; in spirito di dialogo costruttivo con tutti, anche con coloro che sono lontani da ogni sentimento religioso; con rispetto, in un’atmosfera di confronto sereno e pacato, ma senza rinunciare alle nostre convinzioni, nella ricerca di soluzioni adeguate per le spinose questioni che la nostra società deve affrontare.

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Oggi è Pentecoste: la Solennità dello Spirito Santo che scende sulla Chiesa e la anima con il suo soffio potente. È soprattutto allo Spirito Santo che oggi vogliamo rivolgere la nostra richiesta di luce e di sostegno, come fece qui San Giovanni Paolo II.  

Vieni Spirito Santo! È la preghiera che ripeto spesso, perché ho dedicato a lui il mio ministero episcopale. È una preghiera semplice, che vorrei invitarvi a ripetere molte volte al giorno. Vogliamo dirigere allo Spirito di Dio questa preghiera soprattutto per le nostre famiglie, e specialmente per quelle che di più avvertono il peso delle difficoltà.

Vieni Spirito Santo! Illumina il nostro cammino. Sostieni il nostro impegno. Ispira tante famiglie cristiane ad essere sempre testimoni fedeli e coraggiosi del progetto di Dio per la nostra società.

Vieni Spirito Santo! Rinnova la faccia della terra, oggi e sempre. Amen!


  

La proclamazione della Basilica Minore di San Quirino a Sisak

Nella fraterna comunione con il Pastore e la Comunità Ecclesiale della Diocesi di Sisak, il 4 Giugno 2014 Mons. D'Errico è tornato in questa città per celebrare solennemente la proclamazione del titolo di Basilica Minore per la Chiesa dedicata a San Quirino, Patrono della città e della diocesi. Vi era già stato per altro in occasione delle celebrazioni del Triduo Pasquale del 2013 (vedi post).
La devozione locale che si riferisce all'evangelizzazione della Pannonia del IV-V secolo inquadra la vicenda del Santo venerandolo come martire della persecuzione di Diocleziano e primo vescovo della diocesi. In questo senso essa trova riscontri e condivisioni con il culto diffuso del Santo, la cui Passio è celebrata nella diocesi di Krk in Dalmazia (vedi post), in molti luoghi dell'Adriatico orientale e nella stessa area antica di Roma.

L'evento dell'elevazione della Basilica Minore è stato preannunciato con ampia comunicazione dai media e dal portale web della diocesi, ed è stato preceduto da iniziative di preparazione spirituale partite il 26 Maggio 2014, da Novene e Pellegrinaggi dei decanati diocesani, culminati nella Celebrazione Eucaristica presieduta dal Nunzio Apostolico Alessandro D'Errico insieme con il Vescovo Vlado Košić, con il Clero diocesano, e con il Popolo numeroso
Il racconto ricavato dai media locali e dal portale diocesano descrive i momenti intensi della celebrazione ed il ruolo dei partecipanti. Dalla traduzione ad sensum dal portale diocesano leggiamo di seguito.

La Santa Messa è stata presieduta dal Nunzio Apostolico nella Repubblica di Croazia, Mons. Alessandro D'Errico, che ha dato lettura del Decreto con cui la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha attribuito il titolo di "Basilica Minore" per la Chiesa di San Quirino. Concelebranti erano il Vescovo locale, mons. Vlado Kosic, altri Vescovi di diocesi viciniore, il Segretario di Nunziatura Mons. Jean François Lantheaume, il Vicario Generale della diocesi di Sisak mons. Josip Coric, il Cancelliere della diocesi mons. Mark Cvitkušić, il costruttore della chiesa, mons. John Hren, il parroco locale, mons. Zdravko Novak, il Provinciale dei Frati Cappuccini padre Antho Logar, il pastore Peter Csanyi dalla parrocchia gemellata di S. Quirino da Szombathely e ottanta sacerdoti di Sisak e delle diocesi vicine.

La Celebrazione eucaristica è stata preceduta da una solenne processione dalla Cattedrale di Sisak della Esaltazione della Santa Croce, per le strade fino alla chiesa di San Quirino ove si sono radunati più di un migliaio di fedeli: rappresentanti delle parrocchie della Diocesi, giovani, cresimandi e preparati al sacramento della prima comunione, poliziotti e soldati, rappresentanti delle associazioni di reduci, membri dei club culturali, vigili del fuoco, rappresentanti dello Stato e di governo locale.

Accogliendo la folla il Nunzio D'Errico ha detto di essere sorpreso che la richiesta del titolo di Basilica fosse stata approvata in un tempo così breve, visto che era stata presentata a fine gennaio, e che la Congregazione per il Culto Divino il 18 marzo ha risposto positivamente alla richiesta del Vescovo Kosic. Il nunzio ha detto anche di aver informato Papa Francesco dei grandi successi e degli sforzi operati dalla giovane diocesi di Sisak, e ha rivolto a tutti i fedeli, guidati dal Vescovo, parole di incoraggiamento e di perseveranza nel loro progresso.

Il Vescovo titolare ha poi tenuto una intensa omelia per spiegare il significato di Basilica Minore, dei legami forti con la Chiesa di Roma che si racchiudono nel titolo, e per predisporre l'Assemblea all'accoglienza della Parola di Dio e dell'exemplum del martirio di San Quirino.
Alla fine della celebrazione, che è stata accompagnata dalle arie dell'organo della chiesa e dai canti del coro parrocchiale, il Nunzio Apostolico ha rivolto a tutta l'Assemblea la speciale Benedizione Apostolica di Papa Francesco.



I link che seguono rimandano al racconto dei media locali e del portale diocesano che ha realizzato una vasta galleria fotografica dell'evento.